Ho sempre amato cucinare perché ho sempre amato mangiare. Poi a un certo punto il mio stomaco ha dato forfait e mi ha messo in condizione di non poter mangiare più nulla di quello che ero solita mangiare. Due, forse tre anni di calvario in cui non facevo altro che girare per specialisti e provare nuovi preparati farmaceutici (che puntualmente non funzionavano).

Dopo qualche tempo, durante uno dei milioni di esami a cui mi sono sottoposta, mi hanno trovato dei calcoli alla cistifellea e me la hanno tolta senza colpo ferire. La mia – già compromessa – digestione ha subito un altro pesante colpo. Altro giro, altro regalo, ulteriore frustrazione e senso di privazione per ciò che non sarei più riuscita a mangiare.

Con l’ostinazione che da sempre mi caratterizza, mi sono rifiutata di rinunciare all’idea che sarei potuta tornare a mangiare di gusto. Ho studiato, cercato, approfondito, capito, fatto piazza pulita di tutte le vecchie abitudini, reinventato la mia cucina alla luce della consapevolezza che pian piano acquisivo.

Da allora, sono sempre alla ricerca di modi che mi permettano di godere appieno del cibo, senza, però, farmi male, cercando di trarre il massimo da ciò che mangio in termini di energia, vitalità, buon umore e benessere, attraverso lo studio – di cui non sono mai sazia – dei meccanismi profondi (che so in parte essere oggettivi, in parte no) che governano questa relazione.

Dopo lo smarrimento iniziale, ho cercato di vincere la frustrazione concentrando tutte le energie nella ricerca costante e continua di nuovi modi per soddisfare il mio esigente palato, senza più mortificarlo all’interno delle liste degli alimenti vietati delle innumerevoli diete “senza” che mi sono state prescritte, nel triste rimpianto di cappuccino e brioche. Mentre una porta si chiudeva alle mie spalle, ho intravisto un portone da aprire all’orizzonte e mi ci sono catapultata dentro. 

La mia personale ricetta per stare bene ha ora pochi, fondamentali, ingredienti:

  • Cibo vero, poco processato, di altissima qualità (va da sé che tendono allo zero tutti i prodotti industriali contenenti ingredienti ottenuti da processi industriali, oli e grassi sottoposti a lavorazioni, sciroppi, additivi chimici, conservanti, coloranti e qualsiasi cosa di cui non si intuisca la natura senza avere una laurea in chimica).
  • Alimenti di origine animale con cautela (per la mancanza della cistifellea fatico a digerire tutti i grassi, soprattutto quelli industriali “cattivi”, ma trovo piuttosto ostici anche quelli animali) e comunque solo se provenienti da animali felici, allevati con rispetto e in maniera sostenibile (l’allevamento intensivo degli animali, oltre ad essere per me inaccettabile su un piano culturale, peggiora drasticamente la qualità di tutti gli alimenti che ne traggono origine).
  • Una cucina nutriente ma mai troppo “carica”, che, laddove può, elimina il superfluo, alleggerisce, sostituisce ingredienti più “impegnativi” con altri più leggeri e, quindi, più graditi ai miei organi digestivi, senza, però, mai sacrificare il gusto. Perché mangiare è un piacere, ma anche digerire lo é: trovo che non abbia senso concentrarsi unicamente sulle emozioni che il cibo ci dà quando passa per il palato per poi ignorare come quel cibo ci fa sentire “dopo” (questo il senso dell’hashtag #foodfeeling, che mi piace usare). Personalmente con un macigno sullo stomaco non emano affatto buone vibrazioni.
  • Una masticazione* lenta e paziente, che riduce il bolo in poltiglia prima di deglutire.
  • Il tentativo, non sempre facile, di capire quello che il corpo mi chiede e rispondere di conseguenza  (ad es. mangiare solo se ho fame, che sembra scontato, ma neanche poi troppo).

***

Ultimo, ma non per importanza, degli ingredienti della mia ricetta del benessere è l’aspetto emotivo, vero e proprio responsabile, nel mio caso, del malessere originario. L’averne preso coscienza è stato solo il primo dei passi che ho intrapreso verso una maggiore consapevolezza di me, che mi dato il coraggio di fare tutte le scelte che ho fatto ed arrivare qui a fare di questa passione un lavoro e mettere la mia personale esperienza a disposizione degli altri.

Precisazione

*  Ho compreso il vero significato di una corretta masticazione e la sua importanza  solo di recente, leggendo il libro del Dott. Adrian Schulte, “Buona cacca a tutti”, lettura, forse a tratti troppo diretta ed esplicita, ma interessantissima, che spiega in modo semplice e chiaro come funziona tutto il processo digestivo e cosa si può fare per migliorarlo. La prima cosa su cui si può lavorare (e, se vogliamo, anche la più banale) è proprio la masticazione, che conosce un’unica, fondamentale regola: non deglutire finché non si sarà masticato un numero di volte sufficiente a far sì che il cibo sia diventato una poltiglia quasi liquida, completamente avvolta dalla saliva, la quale contiene degli enzimi che avviano la digestione già all’interno della bocca (motivo per cui andrebbero masticate anche le creme e le minestre). La mancanza di questo passaggio fondamentale:

  1. fa sì che si perda la possibilità di trarre beneficio dell’azione di questi enzimi, e in più
  2. sottopone tutti gli organi digestivi ad un carico ulteriore rispetto a quello cui sono preposti, essendo costretti ad aggredire ciò che, non essendo stato masticato, si trova ad uno stadio ancora “troppo solido”. Di qui, due conseguenze:
  • nell’immediato, un allungamento del transito del cibo (che tecnicamente diventa prima “bolo”, poi “chimo”, poi“chilo”) all’interno di ognuno di questi organi
  • e, a lungo andare, un affaticamento degli stessi, che stufi di essere sottoposti ad un lavoro diverso ed ulteriore rispetto a quello a cui sono deputati, consegnano di volta in volta il bolo/chimo/chilo all’organo successivo senza che questo sia stato debitamente trasformato, con conseguenze nefaste sulla salute (non solo dell’apparato digerente).